La possibilità di aggredire i beni devoluti in fondo patrimoniale per la soddisfazione dei creditori è data, non tanto dalla natura delle obbligazioni insorte, ma dalla relazione esistente tra il fatto generatore delle obbligazioni medesime e i bisogni della famiglia.
Da ciò ne consegue che, anche nel caso di debiti tributari, l’Amministrazione finanziaria può agire in executivis sui beni inseriti nel fondo qualora gli stessi siano stati contratti per soddisfare i bisogni della famiglia nonché tramite azione revocatoria ai sensi dell’art. 2901 c.c..
Con particolare riferimento alla prima delle richiamate azioni, la Suprema Corte, con la recente sentenza n. 20799 del 14 ottobre 2016, ha avuto modo di dichiarare espressamente l’applicabilità dell’art. 170 c.c. – disciplinante le condizioni di ammissibilità dell’esecuzione sui beni confluiti nel fondo patrimoniale (“L’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia”) – anche all’iscrizione ipotecaria non volontaria effettuata da parte dell’Agente della Riscossione ex art. 77 del D.P.R. n. 602 del 1973.
In buona sostanza, è stato ritenuto pienamente legittimo iscrivere ipoteca sia sui beni appartenenti al coniuge o al terzo e conferiti nel fondo – nel caso in cui il debito sia stato da loro contratto per uno scopo concernente i bisogni familiari – sia nell’ipotesi contraria, purché il titolare del credito per il quale l’esattore procede alla riscossione non fosse a conoscenza di detta estraneità, dovendosi diversamente ritenere illegittima l’eventuale iscrizione comunque compiuta.
Ma entriamo nello specifico del caso esaminato dalla Corte.
Il titolare di una ditta individuale in proprio e quale rappresentante legale della stessa aveva impugnato innanzi alla CTP di Bari la comunicazione di iscrizione ipotecaria effettuata da parte di Equitalia S.p.a. su un fondo patrimoniale costituito dal contribuente unitamente alla moglie. Accolto il ricorso del contribuente, Equitalia aveva presentato appello innanzi alla CTR della Puglia che aveva confermato la sentenza di primo grado, affermando “che “il bene immobile in questione”, diminuito della passività ipotecaria (fondo patrimoniale) assume un valore pari a zero e il concessionario, in ossequio al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 76, comma 1 non poteva procedere all’espropriazione essendo l’importo complessivo del credito inferiore a Euro 8000”. Equitalia aveva quindi proposto ricorso in Cassazione lamentando l’errata applicazione della disciplina del fondo patrimoniale al caso specifico.
Orbene, come noto, il disposto normativo di cui agli artt. 76, comma 1, lett. b) e 77 del D.P.R. n. 602/73 prevede che l’agente della riscossione “nei casi diversi da quello di cui alla lettera a)” (espropriazione di immobile ad uso abitativo e residenza del debitore), “può procedere all’espropriazione immobiliare se l’importo complessivo del credito per cui procede supera centoventimila euro” e che, decorso inutilmente il termine di sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento, “il ruolo costituisce titolo per iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore e dei coobbligati per un importo pari al doppio dell’importo complessivo del credito per cui si procede”.
Sul punto, già i giudici di primo grado avevano accertato che Equitalia non poteva procedere all’espropriazione del bene in questione, atteso che, diminuito della passività ipotecaria (fondo patrimoniale), esso assumeva un valore pari a zero e che l’importo complessivo del credito era inferiore ad euro 8.000.
La Suprema Corte ha riconosciuto che “i giudici di merito (la CTP espressamente, la CTR implicitamente, confermando la decisione dei primi giudici)” avevano correttamente applicato i principi già affermati dalla Cassazione con la sentenza n. 1652/2016 e con l’ordinanza n. 23876/2015, rilevando come l’art. 170 c.c. dettasse una regola applicabile anche all’iscrizione di ipoteca non volontaria, ivi compresa quella di cui all’art. 77 del D.P.R. n. 602/73, sicché l’esattore poteva iscrivere ipoteca sui beni appartenenti al coniuge o al terzo, conferiti nel fondo, se il debito fosse stato da loro contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari ovvero – nell’ipotesi contraria – purché il titolare del credito per il quale l’esattore procedeva alla riscossione, non fosse a conoscenza di tale estraneità, dovendosi ritenere diversamente illegittima l’eventuale iscrizione comunque effettuata.
Alla luce di tali principi, è quindi facilmente desumibile che, da un lato, l’ipoteca non è un atto di espropriazione forzata o un atto esecutivo vero e proprio rappresentando un atto preordinato e strumentale all’espropriazione immobiliare, ma dall’altro che l’ambito di applicazione del citato art. 170 c.c. può essere esteso anche all’ipoteca, in riferimento alla quale è esclusa la possibilità di iscrivere la medesima sui beni costituiti in fondo patrimoniale solo se derivante da debiti estranei alle esigenze familiari.
Ritenuto pertanto che l’iscrizione ipotecaria potesse essere ricondotta nel novero degli atti ricompresi nell’ambito di applicazione dell’art. 170 c.c. e che, nel caso specifico, la CTR avesse già accertato che non vi era prova che il debito fosse sorto per soddisfare bisogni estranei della famiglia, appariva corretta la valutazione operata dai giudici di merito.
Per tali ragioni la Corte ha rigettato il ricorso con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
In conclusione, benché l’ipoteca non possa ritenersi un vero e proprio atto di espropriazione forzata o di esecuzione ma rappresentando, piuttosto, un atto cautelare funzionale all’espropriazione immobiliare, la Corte di Cassazione ha stabilito che nell’ambito di applicazione del citato art. 170 c.c. potesse rientrare certamente anche l’iscrizione ipotecaria.
Sul punto, corre poi l’obbligo di evidenziare, come già anticipato, che il creditore, oltre alla possibilità di ricorrere all’iscrizione ipotecaria sui beni del fondo, può inoltre utilizzare l’azione revocatoria ordinaria – e quindi veder dichiarata l’inefficacia nei suoi confronti degli atti di disposizione che possano recare pregiudizio alle sue ragioni – contro i crediti sorti anteriormente alla costituzione del fondo qualora sussistano i presupposti previsti dall’art. 2901 c.c.. Ciò a patto che il debitore conoscesse il pregiudizio anzidetto o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, che l’atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento.